L’ente straniero risponde per la 231 in Italia per un reato commesso all’estero?

da | 22 Ott 2020 | News

La Suprema Corte con l’interessante sentenza del 7 aprile 2020 n. 11626 ha preso posizione sulla responsabilità amministrativa in applicazione del D.Lgs. 231/2001 dell’Ente con sede all’estero per fatti costituenti reato commessi all’estero.

Le imprese di diritto italiano potrebbero essere indotte a credere che attraverso la costituzione di un ente straniero per la gestione di una unità produttiva collocata all’estero si possa evitare l’applicazione del D.Lgs. 231/2001: così non è se, ad esempio, nell’unità produttiva collocata all’estero vengono inviati a lavorare dipendenti italiani.

Al verificarsi di un incidente sul lavoro, infatti, può scattare a determinate condizioni – facilmente verificabili – la giurisdizione italiana e la conseguente responsabilità 231.

La sentenza, in motivazione, prevede quanto segue: “Deve, pertanto, ritenersi che l’ente risponda, al pari di “chiunque” cioè di una qualunque persona fisica -, degli effetti della propria “condotta”, a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove si trova la sua sede principale o esplica in via preminente la propria operatività, qualora il reato-presupposto sia stato commesso sul territorio nazionale (o debba comunque ritenersi commesso in Italia o si versi in talune delle ipotesi nelle quali sussiste la giurisdizione nazionale anche in caso di reato commesso all’estero), all’ovvia condizione che siano integrati gli ulteriori criteri di imputazione della responsabilità D.Lgs. n. 231 del 2001, ex artt. 5 e seguenti. Per tale ragione è del tutto irrilevante la circostanza che il centro decisionale dell’ente si trovi all’estero e che la lacuna organizzativa si sia realizzata al di fuori dei confini nazionali, così come, ai fini della giurisdizione dell’A.G. italiana, è del tutto indifferente la circostanza che un reato sia commesso da un cittadino straniero residente all’estero o che la programmazione del delitto sia avvenuta oltre confine”.

Occorre quindi fare attenzione nei casi in cui si intenda eludere la responsabilità 231 confinando all’estero l’ente e l’attività produttiva.

E’ il caso delle grandi società di costruzioni che per la gestione di un appalto all’estero costituiscono un ente di diritto straniero (sotto svariate forme: Consorzi, Società consortili, GEIE, Joint Venture) ma poi inviano in loco propri dipendenti di nazionalità italiana distaccati o alle dipendenze di tale ente.

Va da sé, infatti, che (i) se il responsabile del reato si trova in Italia e (ii) vi è istanza del soggetto leso o dei suoi eredi, ai sensi degli articoli 8 e seguenti del Codice Penale l’ente straniero possa essere giudicato in Italia ai sensi del Decreto anche se ha sede all’estero e se il reato presupposto è stato commesso in altro Stato.

Valutando il rischio in maniera adeguata, tenuto conto del numero dei dipendenti italiani impegnati all’estero e della effettiva pericolosità delle mansioni svolte (in alcuni paesi esteri le misure di sicurezza non sono una vera priorità …), l’ente straniero dovrebbe valutare di adottare un Modello organizzativo e di dotarsi di un Organismo di Vigilanza ai sensi del D.Lgs. 231/2001.